Attualità

10 ago 2025
Bandiera Europa Foto di jorono da Pixabay

L’Europa accelera verso il riarmo e le casse dei Comuni si svuotano. Il caso Cremona e i servizi essenziali a rischio, dal welfare alle scuole

Negli ultimi mesi, in Italia, sindaci e amministratori locali stanno denunciando un paradosso tanto evidente quanto sottovalutato: mentre l’Europa accelera verso una stagione di massiccio riarmo, le casse dei Comuni si svuotano.  

E non si tratta di un’inevitabile conseguenza della crisi internazionale: è una scelta politica precisa, programmata ben prima dell’attuale piano europeo ReArm Europe e destinata, nei prossimi anni, a colpire con forza crescente la spesa sociale, il welfare, le pensioni e i servizi pubblici di prossimità.

Il caso di Cremona è esemplare. Il sindaco Andrea Virgilio, insieme al collega di Crema Fabio Bergamaschi, ha presentato negli scorsi mesi dati difficili da ignorare: in cinque anni, la provincia subirà tagli per 9,5 milioni di euro.

Solo la città di Cremona perderà 2,2 milioni, Crema un milione, Casalmaggiore oltre 311 mila euro, Soresina circa 167 mila. Un’emorragia che colpisce tutti i Comuni del territorio in proporzione agli abitanti.

Il meccanismo è perverso: il 50% dei tagli viene calcolato in base ai fondi europei ricevuti, soprattutto quelli del PNRR. In altre parole, più un Comune è stato virtuoso nell’attirare e investire risorse europee, più viene penalizzato. La conseguenza è immediata: posti in meno negli asili nido, aumento delle rette, riduzione delle corse di trasporto medico per anziani, manutenzione scolastica rinviata in edifici già segnati da crepe e infiltrazioni, e così via.

Il precedente francese: quando il riarmo soffoca il welfare

Per capire dove porta questa strada, basta guardare Oltralpe. In Francia, il presidente Emmanuel Macron ha avviato un piano drastico: 43,5 miliardi di euro di tagli a sanità e servizi sociali, innalzamento dell’età pensionabile, cancellazione di due festività nazionali. Parallelamente, ha aumentato di 8 miliardi in due anni la spesa per carri armati, missili e nuove tecnologie militari.

Come è possibile un tale spostamento di risorse senza infrangere le rigide regole europee sul deficit? La risposta è semplice e inquietante: le spese militari sono escluse dal calcolo del deficit nel Patto di Stabilità UE. Significa che, per restare sotto il tetto del 3% di disavanzo, gli Stati non devono ridurre le spese per armamenti, ma comprimere tutte le altre: welfare, istruzione, sanità. E magari attingere ai fondi pensati dal PNRR per la transizione ecologica e i progetti sociali.

Con sentiti ringraziamenti, oltre che alle forze dell’attuale maggioranza, anche ai socialdemocratici (PD) e ai Verdi europei, che hanno supportato in Europa la visione bellicista di Ursula von der Leyen.

L’Italia sta replicando la stessa logica

Con una differenza: qui il percorso era stato tracciato già nel 2022, ben prima che Bruxelles formalizzasse il piano ReArm Europe da 650 miliardi di euro. La scelta di fondo è chiara: per arrivare agli obiettivi di spesa militare previsti (fino al 5% del PIL, secondo alcuni scenari), si attaccheranno direttamente le voci di bilancio che garantiscono coesione sociale.

Scope Ratings: l’arbitro invisibile

A rendere il quadro ancora più complesso c’è un attore poco conosciuto dal grande pubblico: Scope Ratings, l’unica agenzia di rating europea non controllata dai colossi americani (Fitch, Standard & Poor’s, Moody’s). In teoria, la sua indipendenza dovrebbe rappresentare una garanzia di autonomia europea. In pratica, la struttura proprietaria è difficile da ricostruire e i suoi report influenzano pesantemente i mercati.

Quando Scope abbassa il rating di un Paese, i tassi di interesse sul debito aumentano, e con essi la pressione sui governi a “correggere” la spesa pubblica. Nel maggio 2025, Scope ha emesso un avvertimento esplicito: i piani di riarmo italiano e tedesco rischiano di destabilizzare i conti pubblici; per evitare declassamenti, servono tagli al welfare e privatizzazioni. È una dichiarazione che suona come una linea guida: se vuoi riarmarti, devi smantellare pezzi di stato sociale.

Il voto del 2022: una scelta bipartisan che pesa ancora

Per capire l’origine di questa traiettoria, bisogna tornare al 16 marzo 2022. Quel giorno, alla Camera dei Deputati, 391 parlamentari su 421 votarono a favore di portare la spesa militare italiana al 2% del PIL, in linea con gli impegni NATO. Fu un voto trasversale:

Fratelli d’Italia: 69 deputati;
Lega: 63;
Forza Italia: 44;
Partito Democratico: 112 (allora esprimeva il ministro della Difesa Lorenzo Guerini);
Movimento 5 Stelle: 52 (che si allinearono alle spese belliciste degli altri partiti).

Le giustificazioni, già allora, suonavano imbarazzate e poco convincenti. Giuseppe Conte: «Non mi entusiasmava, ma erano impegni NATO già presi in precedenza». Molti parlamentari parlarono di non meglio specificati “problemi di coordinamento” con l’area Esteri. Ma la verità è che anche forze politiche che oggi si presentano come paladine della pace votarono atti di indirizzo che acceleravano proprio quella corsa.

E non fu solo “colpa dei dimaiani”: molti di quei deputati siedono ancora oggi in Parlamento, magari con una spilletta arcobaleno, ma nel 2022 diedero carta bianca al governo Draghi non solo per aumentare la spesa militare, ma anche per inviare armi in Ucraina senza passaggi di controllo parlamentare (primo decreto Ucraina).

Una tempesta annunciata

Oggi il combinato disposto di queste decisioni è chiaro: ReArm Europe creerà un debito “fantasma” per armamenti, escluso dai parametri di deficit, scaricando la riduzione della spesa su scuole, ospedali, pensioni e trasporti locali. 

I dazi imposti da Trump faranno aumentare i costi per i servizi pubblici. Il bilancio UE 2028-2034 rischia di tradursi in nuove tasse o nuovi tagli, se i “Paesi frugali” bloccheranno i fondi strutturali.

Come ha ben sintetizzato Michel Marchi, sindaco di Gerre de’ Caprioli: «Oggi piangiamo i tagli, domani non avremo nemmeno le lacrime. Senza Comuni, lo Stato è un guscio vuoto».

L’allarme è stato amplificato anche dal governatore lombardo Attilio Fontana, che ha accusato la Commissione UE guidata da Ursula von der Leyen di star valutando una riforma della gestione dei fondi di coesione che potrebbe togliere alla Lombardia 4,4 miliardi di euro.  

Una manovra che rischia di mettere in ginocchio non solo la regione più produttiva d’Italia, ma anche l’intero assetto di autonomia gestionale delle risorse europee.

Una domanda scomoda

Sindaci del PD, governatori della Lega, parlamentari di Forza Italia e Fratelli d’Italia, tutti contro le decisioni dell’Europa. Perché invece di rilasciare dichiarazioni preoccupate o attacchi alla von der Leyen non chiedete ai vostri parlamentari europei di toglierle la fiducia, invece di salvarla ad ogni voto? Caro governatore Fontana, perché in nome della così tanta cara autonomia lombarda non si mette di traverso a Giorgia Meloni? 

È anche stucchevole il fatto che chi fino ad oggi ha votato per questa Europa e per il piano ReArm, che affama Comuni e Regioni, venga poi premiato con una candidatura regionale e sostenuto anche da forze pacifiste (almeno sulla carta). Ogni riferimento a Ricci e Decaro è puramente voluto.

Sicurezza o sopravvivenza?

Il caso Cremona dimostra che la sicurezza di un Paese non si misura solo in carri armati e cacciabombardieri. Tagliare risorse ai Comuni che hanno lavorato bene con il PNRR significa costruire scuole che resteranno chiuse, lasciare anziani senza trasporto medico, aumentare le rette degli asili e disinvestire nel presidio del territorio.

Questa non è un’emergenza contingente, ma l’effetto di un indirizzo politico definito anni fa, accettato in modo trasversale da tutto l’arco parlamentare e oggi portato avanti senza correzioni. Se non si interviene, la prossima stagione politica rischia di essere segnata da un Paese più armato ma socialmente più fragile, in cui le città e i paesi non avranno più gli strumenti per garantire servizi essenziali.

E a quel punto, la domanda sarà inevitabile: a cosa serve difendersi all’esterno, se all’interno si smantellano le basi stesse della convivenza civile?

Marco Degli Angeli

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Tutti gli articoli