Cultura

26 dic 2025
Polesine San Vito

I silenzi del Natale e il mistero delle chiese sommerse tra il Cremonese e il Parmense, da Stagno a Brancere (seconda parte)

Di seguito la seconda parte del resoconto storico di Paolo Panni sulle chiese sommerse dal Po tra Cremonese e Parmense (qui la prima parte).

Nel 1813 una nuova chiesa fu costruita, con annessi cimitero e casa parrocchiale, oltre l’argine maestro, grazie alla donazione dell’avvocato Coppini, proprietario della Cascina Rondanina, su disegno dell’architetto cremonese Domenico Voghera (fratello del più famoso architetto Luigi) e venne consacrata il 2 maggio 1813, con asse della chiesa in direzione Nord-Sud e facciata rivolta a Sud.

Nel 1867 la chiesa subì importanti lavori ma solo un anno più tardi, nel 1868, fu colpita da una nuova inondazione del Po con le acque che si ritirarono solo sei giorni dopo. In quello stesso anno venne definitivamente soppresso il Comune di Brancere, inglobato in quello di Stagno Lombardo.

Tra le inondazioni che colpirono il paese e i suoi edifici sacri, da ricordare anche quelle del 1801, 1806, 1872, 1917 e 1926, ma anche quella del 1833. A quest’ultima è legato il quadro miracoloso del “Nazareno” (che si  conserva in parrocchia) accompagnato anche dalle annotazioni autografe del parroco dell’epoca che parla di tre miracoli e ne evidenzia la storia.

A riguardo, in quaderni dell’Archivio Parrocchiale, don Remo Caraffini trascrive una nota del Parroco del 1870: “Nell’anno 1833 il fiume Po ingoiò varie possessioni che si trovavano in prossimità al fiume. Confinante con queste vi era anche quella del Conte Prosperi Tedeschi Baldini, di Piacenza, proprietario della cascina Ferrara. Uomo molto religioso fece un voto implorando che venisse risparmiata la sua ed essendo stata di fatto preservata la sua terra con la sua cascina, soddisfece al voto fatto facendo dipingere un artistico quadro rappresentante la Sacra Immagine di Gesù Nazareno, riscattata dai Padri Scapolari dalle mani dei Barbari Mori e Maomettani nella città di Fez in Africa [Marocco] e lo donò alla chiesa di Brancere e lo fece collocare sull’altare di S.Antonio di Padova nel giorno 15 di Settembre del 1833, giorno di domenica, in cui venne benedetta la Sacra Immagine, che ancora è lievito fermentatore di vita morale e religiosa in questa popolazione rurale”.


In occasione della magra storica del 2022 sono riemerse antiche mura che, chissà, potevano anche essere quelle della vecchia chiesa di Brancere, ma questo è destinato a restare un mistero.

Si tratta di rovine che, chi scrive queste righe, ha avuto la possibilità di visitare, in rigoroso e doveroso silenzio, grazie alla guida preziosa di Tommaso Mazzeo, esperto conoscitore del fiume ed appassionato di storia del fiume e del territorio, durante la grande magra del 2022.

Qui le ipotesi hanno fatto emergere anche un’altra possibilità, secondo la quale potrebbero trattarsi dei resti di Vacomare, antico borgo scomparso da secoli, totalmente eroso dal Po, in cui sorgeva uno Xenodochio (vale a dire una struttura di appoggio ai viaggi nel Medioevo, adibito a ospizio per pellegrini e forestieri) con chiesa intitolata a Santa Maria di Spineta. Chiesa e xenodochio di cui da tempo (come del resto del borgo) si sono perse le tracce.

Di Vacomare, della chiesa di Santa Maria di Spineta e dello Xenodochio si parla diffusamente nei libri della collana “Nelle terre dei Pallavicino” del compianto professor Carlo Soliani, insigne studioso di storia dei nostri territori, autore di importanti pubblicazioni. In un atto del 1334, Matteo Da Segalaria, sacerdote di Parma e titolare di un beneficio nella chiesa di Pieveottoville, per incarico del vescovo di Cremona, Ugolino di San Marco, inserì nel possesso dell’ospedale di Santa Maria di Spineta, situato appunto in Vacomare, e dei relativi diritti spirituali, Antonio Riccardi di Crema, precedentemente eletto rettore e amministratore del medesimo ospedale dallo stesso vescovo mediante investitura ad anello aureo.

Nel 1336, invece, Pietro Giovanni Tagliabuoi donò ai frati del Consorzio dello Spirito Santo di Cremona una pezza di terra di due pertiche, coltivata a viti, posta nel territorio di Santa Croce Oltre Po, in località Vacomare (con atto notarile firmato da Corrado Lacma). Nel 1358 la signorina Agnesina, figlia del fu Antonio Bottioni detto “Inthocus”, legò agli stessi frati del Consorzio dello Spirito Santo di Cremona, due pezze di terra, una delle quali in località Vacomare. Altri atti relativi a terreni di Vacomare risalgono agli 1361, 1367, 1371, 1374 e 1376.

E’ inoltre ceto che lo Xenodochio esisteva ancora nel 1385 e pagava all’Episcopio di Cremona il censo di “Libram unam cere nove”. Interessante anche un atto del novembre 1458 in cui Cabrino, Galeotto, Duxino Sommi, a proprio nome ed anche a nome di Aimerico, Cristoforo e Giorgio Sommi, chiedono il rinnovo dell’investitura dei feudi ai loro antecessori, e in particolare di Pieveottoville con i relativi diritti di riscossione delle decime nei luoghi di Parasacco, Zibello, Isola Guidoni, Vacomare, Po Morto, Saliceta, Ardola di Altavilla, Isolello e Carpaneta, a Giovanni Maria Imerici di Ferrara, luogotenente di Bernardo Rossi, eletto amministratore dell’episcopio e futuro vescovo di Cremona, e a don Filippo Schelini, vicario del suddetto vescovo.

Meno probabile, ma comunque plausibile,e affascinante, la possibilità che le rovine riemerse nel 2022 possano appartenere anche ad altre località, altrettanto scomparse come Ripavetere e  Campomascolo.

Tutte ipotesi affascinanti, in cui storia e mistero si fondono.

Infine, tornando di nuovo a parlare di Brancere, borgo le cui vicende sono da sempre legate al fiume, va detto che la parrocchia fino al 1820 apparteneva alla diocesi emiliana di Fidenza. Come ricorda anche Dario Soresina nella sua “Enciclopedia Diocesana Fidentina”, nell’Oltrepò cremonese, ma nei limiti della parrocchia di Soarza, esisteva in passato un pubblico oratorio dedicato all’Ascensione di Nostro Signore, che era di ragione e di patronato dell’Ospedale della Misericordia di Cortemaggiore.

Per aderire al desiderio della popolazione, motivato dalla distanza dalla chiesa parrocchiale di Soarza, per raggiungere la quale i fedeli erano costretti a traghettare il Po (con disagi e pericoli per la loro incolumit), il vescovo diocesano monsignor Adriano Sermattei, con decreto del 16 marzo 1714, erigeva Brancere in parrocchia, scorporandola totalmente da Soarza e gli abitanti, per l’acquistata autonomia, si impegnarono a provvedere il loro paese di una nuova chiesa, di arredarla e di dotarla del necessario.

Con altro decreto con la stessa data e messo agli atti dal notaio Micheli, il vescovo Sermattei nominò il primo parroco nella persona del sacerdote don Rinaldo Ferrari e la parrocchia fu inclusa nel vicariato foraneo di Villanova sull’Arda. Tuttavia rimanevano insoluti altri problemi di carattere giurisdizionale, visto che Brancere, nettamente staccata dalla diocesi fidentina, gravitava totalmente su Cremona ed i centri cremonesi vicini. Così, per quasi un secolo, la parrocchia fu considerata quasi un’entità a sé stante, nella quale usi e costumi si differenziavano da quelli delle parrocchie più prossime della diocesi di Fidenza. Per queste ragioni il vescovo monsignor Luigi Sanvitale, in virtù delle lettere apostoliche di papa Pio VII date in Roma il 16 febbraio 1819, con atto del 23 settembre 1820, rimise la giurisdizione spirituale di Brancere al vescovo di Cremona.

Al primo parroco don Rinaldo Ferrari fu conferito il titolo di rettore, mantenuto dai suoi successori sino al momento in cui Brancere fu annesso alla diocesi di Cremona. I successori di don Ferrari furono don Giovanni Maria Bercini che guidò la parrocchia dal 1727 al 1764, don Antonio Gambara che fu parroco dal 1764 al 1774, don Giacomo Carrara dal 1774 al 1790 (passò poi canomico a Busseto) e don Giuseppe Verdelli, parroco dal 1790 al 1820. Un’altra ipotesi circa l’origine delle rovine emerse nell’estate 2022 riguarda la possibilità che potesse trattarsi di resti della Cascina Ferrata. Anticamente, in quella zona, prima della costruzione delle opere di difesa idraulica risalenti al secolo scorso, il fiume aveva tre diramazioni e la morfologia del territorio, nel corso del tempo, ha subito importanti modifiche.

Le mutazioni subite dal corso del Grande fiume in passato hanno ampiamente influito anche sul destino di non pochi centri andati poi distrutti. Interessante, a riguardo, è la testimonianza di un navarolo di Casalmaggiore, Bono Giovanni Bongiovanni, che in antichi documenti, narra di quattro mutazioni del corso del Po avvenute in meno di cinquant’anni: “al principio – scrive – il corrente del Po veniva giù dietro le Brancere del Cremonese, venendo a dar dietro est di sopra la piarda de l’Ongina del Parmigiano, venendo giù dietro quella piarda sino alla Casa del Recardino sul Parmigiano, si levava poi di lì et andava a dar dal lato cremonese di sotto del Mezano del Pesso… andando giù sino alla piarda del Somma del Cremonese. Et questo può essere da 45 anni in qua; et da quel tempo da sette o otto anni di poi, il Po fece una rotta a Soartia e si buttò verso la piarda del Pesso, et andava giù dietro la piarda un gran pezzo e poi voltava et andava a battere di sotto un poco dalla rocca di Polesino, andando giù di mano alla piarda dei Spini sil Parmigiano…A questa seconda mutatione che io ho detto, all’hora vi apparve quel Mezanino et di lì due o tre anni, venendo pure il…Po di sotto da detta rocca…andò mangiando su di mano in mano addosso a detta rocca, a tal che diede nella rocca et la portò via. Abbandonò di poi circa dieci anni detto luogo ov’era la rocca et si voltò verso il Cremonese dove va al presente…”.

La seconda mutazione di cui parla Bono Giovanni Bongiovanni è quella del 1528-1529 quando il canale maggiore del fiume si spostò più a Sud ed il coso prese una direzione diversa. Durante una piena si allontanò da Farisengo e, immessosi repentinamente nel Rebenzone, un fossato di scolo delle acque che attraversava il territorio palla vicino seguendone l’andamento. Con gli anni il vecchio alveo era stato del tutto abbandonato, al punto che gli si era dato il nome di Po Morto. Nei secoli seguenti ci furono parecchi altri e importanti mutamenti che causarono profonde modifiche ai territori emiliani e lombardi, ed ai loro abitati.

Quando si parla di Brancere è inoltre necessario fare doveroso riferimento anche alle vicende storiche della dirimpettaia località piacentina di Soarza la cui parrocchia ebbe, in epoca remota, una propria giurisdizione che si estendeva anche all’Oltrepò cremonese, comprendendovi appunto la zona di Brancere e la sua chiesa, che allora era un semplice oratorio. Una investitura del vescovo di Cremona datata 5 aprile 1014 a favore di una famiglia soarzese di origine longobarda (che si può trovare nel “Codex diplomaticus Cremonae” dell’Astegiano) parla di un appezzamento di terreno in luogo “cum capella”: questa era probabilmente una delle numerose cappelle mariane erette dai fedeli in prossimità del Grande fiume per invocare la protezione della beata Vergine Maria dalla minaccia costante delle acque.

Il Campi, nell’Historia Ecclesiastica di Piacenza accenna tra l’altro ad una contestazione confinaria sorta tra i vescovi di Cremona e di Piacenza nel 1180, che coinvolse gli arcipreti di San Martino in Olza e di San Giuliano Piacentino, precisando che la causa fu rimessa ai rettori delle chiese di Soarza (Bernardo) e di Vidalenzo (Oddone). A Brancere esisteva un oratorio pubblico, eretto sotto il titolo dell’Ascensione di Nostro Signore, che era sussidiario della parrocchiale di Soarza.

Con decreto del 16 marzo 1714, come già anticipato, il vescovo diocesano Adriano Sermattei, accogliendo le istanze della popolazione, eresse Brancere in parrocchia, smembrando totalmente il suo territorio da quello della parrocchia piacentina di Soarza. La perdita di una ragguardevole porzione di territorio fu però largamente compensata dal Po.

Infatti, per un prolungato fenomeno di accessione verificatosi a decorrere da inizio Ottocento, Soarza acquisì la zona situata ad est dei cavi Morta e Fontana: una larga e profonda fascia, in buona parte boschiva, ma con vaste oasi coltivate facenti capo alle cascine Bella Venezia e Motta. Inoltre il 6 maggio 1896, il vescovo Tescari, con atto a rogito Guido Cremonini, ottenne con lettere apostoliche lo smembramento dalla parrocchia di Brancere (già rimessa nel 1820 alla giurisdizione episcopale cremonese) dell’Isola Costa e la sia aggregazione alla parrocchia di Soarza. Soarza che vantava una chiesa già intorno al Mille, poi demolita nel 1927.

Magari, tra storia, mistero e leggenda, per Natale sentiremo di nuovo il dolce suono delle campane sommerse. Magari, intorno al fiume e sul fiume, quel Bambino che viene sorriderà, come e più di prima, alla gente del Po, portando loro in dono un tempo migliore e quei valori di bontà, semplicità e umiltà di cui, oggi più che mai, si avverte l’essenziale necessità.

Paolo Panni

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