L'intervento
30 nov 2025
"Con la Palestina abbiamo l’obbligo morale di non restare inerti e indifferenti, ma di mobilitarci ognuno con tutti gli strumenti che possiede"
“A Paola, con tanto affetto, che tu possa essere una luce di speranza, una voce di verità per il mio popolo. Grazie per tutto quello che hai fatto per la Palestina, noi palestinesi ricorderemo il tuo nome.”
Con queste potentissime parole che mi hanno fatto commuovere e sentire una stretta al cuore, Alae Al Said, giovane scrittrice e attivista italo-palestinese, ha autografato la mia copia del libro “Il Ragazzo con la Kefiah Arancione”, prima dell’inizio dell’incontro (ieri, sabato 29; ndr), organizzato da Amnesty International, Pax Christi, Amici di Emmaus, Tavola Della Pace Cremona e Oglio Po, Laudato Sii, nel contest Festival dei Diritti.
Dopo i due interventi introduttivi della Professoressa Giovanna Mosconi e dell’operatore Sociale Enrico Platé, e il ringraziamento istituzionale dell'assessore Marina Della Giovanna, è iniziato il racconto dell’autrice, accompagnata dalle domande della giovanissima Imen, che con Anna e Osni fanno parte del neo-nato gruppo di studenti “Voce Giovani di Cremona”.
Alae si è raccontata, vissuta a metà fra due mondi, cominciando sin da giovane a capire le tante ingiustizie che accadevano nella sua terra d’origine, senza che nessuno riuscisse a motivarle. Perché colpiscono i bambini per strada? Perché distruggono le nostre case? Perché abbattono i nostri ulivi? Perché non possiamo girare liberamente per la nostra terra? Perché i check point, i muri, le barriere?
Da qui la necessità di scrivere un libro (non è il primo), lei che è nata e vive in Italia, ma che grazie alla forte appartenenza dei suoi genitori, ha sempre sentita propria la storia e i drammi di un popolo che viene da più di 80 anni vessato, anzi “bullizzato” dallo stato Sionista di Israele, e che con forza si aggrappa alla vita, ostinandosi a resistere, il “sumud” palestinese che abbiamo imparato a conoscere anche noi.
La Letteratura della Resistenza assume connotati politici e sociali, e per questa ragione per descrivere fatti storici in una lingua immediata e di facile comprensione, gli scrittori come Alae Al Said utilizzano il genere del racconto, genere letterario conosciuto dal mondo arabo grazie all'influenza occidentale, Alae definisce la scrittura di una storia come un rasoio affilato che squarcia il velo della conoscenza.
Ha citato, come una fonte di ispirazione, tra le altre, le opere di Kanafani, giornalista, scrittore e attivista libanese per la causa della Palestina, ucciso durante un attentato del Mossad negli anni ’70, le cui opere sono per la stragrande maggioranza romanzi brevi o racconti, anche se è presente qualche lavoro teatrale.
Ecco perché nell’opera ci sono alcuni termini in lingua araba come “baraka” che hanno un significato talmente ampio che è di difficile traduzione… si potrebbe provare a spiegarlo come una sorta di benedizione spirituale, quasi magica che ti fa apprezzare maggiormente ciò che si ha.
La storia vede come protagonista un ragazzino che vive in Cisgiordania, Loai, piccolo, timido, studioso e con dei vistosi capelli arancioni che lo rendono vittima di bullismo da parte dei compagni. E questa descrizione di un bullismo violento, persistente ed ingiusto è una sorta di parallelismo con quello che continua a fare il popolo israeliano nei confronti dei palestinesi. Farli sentire inesistenti, privi di qualsiasi diritto, senza dignità.
Il diritto internazionale dice che un popolo soggiogato da occupazione militare straniera ha pieno diritto di utilizzare le armi per difendersi. Che poi il mondo voglia per forza vedere il popolo palestinese come un popolo sempre “pacifico” è sbagliato, perché è vero che ce il sumud, la resistenza non violenta, ma esistono tanti gruppi armati oltre a Hamas anche in Cisgiordania, perché la lotta armata è una lotta che nelle situazioni coloniali si rivela essere, il più delle volte, l’unica via in grado di garantire la libertà del popolo stesso. Tuttavia dovrebbero esserci i diritti internazionali, l'ONU che difende un popolo da questi soprusi, invece non è così.
Scrivere è un modo per far arrivare la voce di questo popolo inascoltato al mondo, un po’ come scrivere di una persona che si ama e che la si vede morire dissanguata lentamente davanti ai propri occhi.
Nel romanzo c’è la narrazione di una forte amicizia, famiglia, resistenza, c’è il dramma della “guerra dei 6 giorni” del 1967, che poi il termine guerra, nel caso dei palestinesi è completamente sbagliato. È una dicotomia tra prigionia e libertà, tra realtà e falsità, e solo ultimamente, dopo il dramma ampiamente documentato del genocidio di Gaza in questi ultimi 2 anni, che la propaganda sionista si sta disgregando e anche il mondo occidentale comincia a vederne l’orrore.
E mentre i governi sono complici con la loro immobilità, le persone che hanno una coscienza cominciano a ribellarsi, scendendo in piazza, boicottando, organizzandosi in spedizioni umanitarie, come il recente Global Movement to Gaza, creando comitati per confrontarsi e soprattutto informare.
Eppure anche nelle alte sfere qualcosa inizia ad incrinarsi. In questi giorni un terremoto mediatico ha appena colpito l'America e Israele più duramente di qualsiasi altra cosa prima. Tucker Carlson, il conduttore conservatore più influente degli Stati Uniti, un uomo che Israele considerava un alleato incrollabile, li ha appena attaccati con una franchezza che nessun personaggio televisivo americano avrebbe mai osato.
In diretta, davanti a milioni di persone, ha sganciato la bomba: "Non esiste il 'popolo eletto di Dio'. Dio non sceglie gli assassini di bambini. Questa è eresia: questi sono criminali e ladri".
Anche in Europa ci sono stati i primi governi a prendere le distanze, come la Spagna. Nel nostro paese, il governo centrale è ancora assente, ma nei porti italiani come Genova, Ravenna e altri, c’è stata una forte presa di posizione da parte dei “camalli” che appoggiati dal sindacato USB e altri sindacati di base, hanno realmente impedito a container di armi di partire per lo stato “terrorista” di Israele.
Siamo ancora all’inizio di una presa di coscienza collettiva, ma quello che per me è stato importante oggi, è vedere il teatro pieno di giovani, che hanno ascoltato empatizzando le parole di Alae. Forti, coraggiose, in certi tratti anche disperate, ma mai rassegnate, perché questa è la forza del popolo palestinese, la loro Sumud, il loro vincolo inestricabile alla loro terra.
Loro hanno solo le armi della parola, dell’esempio, del martirio, noi abbiamo l’obbligo morale di non restare inerti ed indifferenti, ma di mobilitarci ognuno con tutti gli strumenti che possiede, anche con l’empatia che ha dimostrato una giovane studentessa che ha letto il suo racconto in prima persona, immedesimandosi e descrivendola, nella sofferenza di una madre palestinese.
Avevo già letto il libro, raccomandato dalla mia amica del gruppo CESSATE IL FUOCO Paladine per la Palestina Asmaa Ouariti, ho sofferto e pianto, ma ho imparato a capire meglio la storia e la forza di questo popolo.
Nel libro, in un buon libro, anche chi legge ne è un po’ il protagonista, e leggere, apprendere e agire di conseguenza è un tipo di crescita che chiunque può fare.
Grazie Alae Al Said per questo viaggio nella tua terra, grazie per la tua dedica, anche io ricorderò per sempre il tuo nome!
Paola Tacchini
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