Editoriale
04 nov 2025
Editoriali, sondaggi, articoli: si stanno muovendo le pedine sul ritorno al nucleare. Non è forse il caso di parlare chiaro e coinvolgere i cittadini?
Senza per ora entrare nel merito e soprattutto nell'aspetto “tecnico” del “nucleare sì, nucleare no”, è forse bene cominciare a voltare le carte sul tavolo. A parlare apertamente, insomma, e non per vie traverse, facendo scivolare notizie, informazioni e commenti tra le pagine dei giornali.
Perché di fatto è quello che si sta facendo a Cremona, in particolare attraverso le pagine del giornale locale, “La Provincia”, che da qualche giorno sta inviando messaggi non troppo velati ai propri lettori. E i messaggi vanno in una precisa direzione: presentare il ritorno al nucleare come cosa opportuna e anzi necessaria.
Piccolo passo indietro: nei giorni scorsi abbiamo dato la notizia del convegno nazionale sull'importanza di un ritorno del nucleare in Italia che si tiene proprio in questi giorni presso la biblioteca dell'impianto siderurgico di Terni, di proprietà del Gruppo Arvedi (qui l'articolo).
E' chiaro a tutti che, a Terni come a Cremona, il primo soggetto che trarrebbe beneficio (in termini di contenimento dei costi dell'energia) dal ripristino delle centrali nucleari è l'acciaieria Arvedi.
Ma non sarebbe certo la sola impresa a beneficiarne, come è emerso chiaramente dalla recente assemblea degli Industriali di Cremona.
Da allora, ecco che il tema è tornato in primo piano sulle pagine de La Provincia. Prima con l'editoriale del direttore, pubblicato il 2 novembre, che, raccogliendo le istanze degli industriali, ha annotato: “In questa situazione è davvero ora di accantonare le riserve ideologiche sull’unico fattore che può ribaltare lo scenario: il nucleare. I sopravvissuti della tribù del no a priori dovrebbero avere l’onestà intellettuale di guardarsi intorno senza pregiudizi: dalla Francia alla Svizzera e perfino alla Slovenia, lungo i patrii confini è un pullulare di centrali nucleari, che producono e vendono anche a noi la loro energia”.
Non solo: annota ancora il direttore de La Provincia: “L’Italia, all’epoca del primo referendum, era all’avanguardia mondiale, ma abbiamo regalato al mondo quell’indispensabile patrimonio di conoscenza tecnica. Tanto vale provare a recuperare il tempo perso: basta volerlo, con più pragmatismo e meno ideologia. In questo scenario complessivo e senza intervenire con decisione, il risultato può essere uno solo: smettere progressivamente di essere un continente di produttori di beni e servizi e diventare un grande mercato per chi non rinuncia a quelle vocazioni”.
Se il messaggio non fosse ancora chiaro, ecco l'articolo pubblicato proprio oggi sempre da La Provincia, dall'emblematico titolo “Nucleare, l’ipotesi ritorno inizia a fare meno paura”.
Ebbene, nel pezzo si commenta che “La “macchina” per il ritorno dell’Italia alla produzione di energia nucleare si è ormai messa in moto e, anche se nella Bassa Piacentina stanno già alzando barricate — «Noi abbiamo già dato», è il parere più volte espresso dalla sindaca di Caorso Roberta Battaglia —, cresce il consenso dei cittadini”.
Prosegue l'articolo: “Quasi la metà degli italiani, infatti, ora sarebbe favorevole a un ritorno all’atomo. Lo dice l’ultimo sondaggio nazionale che Sogin, società governativa incaricata della dismissione degli ex impianti (compreso quello di Caorso), ha affidato a SWG. A ricevere le domande sono stati anche piacentini e cremonesi. E a dire «sì» è stato circa il 48% degli intervistati. Non solo: il 75% dei contrari non esclude di cambiare idea se le compensazioni saranno adeguate”.
A fronte di un quadro ancora sfaccettato e con la maggioranza, sebbene risicata, degli italiani contrari, si presenta l'ipotesi del ritorno al nucleare come assolutamente positiva.
Prosegue l'articolo: “In base all’esito del sondaggio, il 17% è assolutamente favorevole all’energia nucleare e il 31% è moderatamente d’accordo, mentre abbastanza contrario si dice il 15% degli intervistati. In forte riduzione, rispetto al passato, coloro che si professano in totale disaccordo: rappresentano il 14%, quasi la metà di coloro che si dicevano del tutto contrari in un analogo sondaggio nel 2024, quando gli italiani contrari a prescindere risultavano il 24%. Senza opinione, invece, resta il 23%: «non sa» e dunque non si esprime”.
Tira le somme La Provincia: “Insomma, complici le linee governative, anche la popolazione sembra stia cambiando idea sul tema. Di certo se ne parla parecchio. Anche nei giorni scorsi alla plenaria dell’Associazione industriali a Cremona: «Facciamo chiarezza sull’illusione, pericolosa, che si possa vivere di turismo – ha detto Ferruccio de Bortoli –. Noi siamo ancora un Paese industriale e non possiamo pensare di non pagare dei costi, anche ambientali. Il tabù nucleare, la sinistra, se lo deve togliere»”.
Insomma, quello del nucleare è solo “un tabù della sinistra”. Ma davvero le cose stanno così? Davvero possiamo interpretare e muovere la pubblica opinione sulla base di un sondaggio – peraltro commissionato da Sogin, la società governativa incaricata della dismissione degli ex impianti?
Ora, perché non cominciare a parlare fuori dai denti? Perché non dire che le grandi imprese industriali, Arvedi in primis, stanno muovendosi per un ritorno al nucleare in Italia e, per quanto ci riguarda, possibilmente con un impianto a ridosso di Cremona? Ad esempio riattivando la centrale di Caorso, come a suo tempo suggerito da Carlo Calenda?
Forse, su un tema di questa portata e con un'opinione pubblica ancora così divisa (leggendo freddamente i numeri il sondaggio mostra una spaccatura netta, quasi il 50% per il sì e poco più del 50% per il no) sarebbe il caso di parlare chiaramente, avviare un confronto con la cittadinanza.
Uscire dalle assemblee degli industriali e dalle pagine del giornale e portare il tema tra la gente. A Cremona davvero i cittadini vogliono il ritorno di una centrale nucleare?
Se ne parli apertamente, non facendo scivolare articoli qua e là, organizzando convegni e cercando di muovere l'opinione pubblica un poco per volta. Apriamo finalmente un dibattito concreto, piuttosto.
Federico Centenari
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