Il commento
14 ott 2025
Il Nobel “al male minore” e la leggerezza di chi non sa cosa applaude. Ecco perché il riconoscimento per la Pace non dovrebbe essere un’arma da post
C’è sempre un momento in cui la voglia di colpire l’avversario cancella ogni prudenza. Per molti, quel momento è arrivato con un post su Facebook: doveva essere una battuta su Trump, ed è diventato un autogol politico da manuale.
Post dal tono: “Spiaze”, “Santa Provvidenza!”, “Sarà per la prossima”... e via così. Il tono era trionfante: il Nobel non è andato a Trump, e tanto basta per brindare. Peccato che il “male minore” prescelto — María Corina Machado — non sia esattamente una figura da santino progressista.
Ma quel dettaglio, evidentemente, non è arrivato sulla scrivania di chi si è affrettato ad applaudire.
E infatti, le reazioni sono state un piccolo manuale di incoerenza politica.
Debora Serracchiani, parlamentare del PD, ha reso omaggio alla “donna simbolo di resistenza al regime”. Laura Boldrini si è congratulata con il comitato del Nobel per aver “resistito alle pressioni di Trump”. Stefania Bonaldi, ex sindaca di Crema e ora nella segreteria Schlein, ha salutato il premio citando la motivazione del comitato come un riconoscimento alle donne coraggiose che sfidano le dittature. Con “buona pace dei tromboni”.
Poi, quando qualcuno ha fatto notare chi fosse davvero Machado, da parte di alcuni sono iniziate le arrampicate sugli specchi. Traduzione: è scappato il like sbagliato.
E non è finita. Sul sito ufficiale del PD era comparsa una nota di Roberta Mori, portavoce delle Donne Democratiche, che definiva Machado “un simbolo globale di resistenza civile e democratica”. Dopo poche ore, puff: pagina sparita. Nessuna spiegazione. Forse un guasto tecnico. O forse, più semplicemente, un imbarazzo politico.
Il Nobel come derby
Il punto è sempre lo stesso: ridurre il Nobel per la Pace (come qualsiasi altra cosa) a un derby. Come se fosse una semifinale tra Washington e Caracas, tra populismo e liberalismo, tra “noi” e “loro”.
Ma il Nobel a Machado non è “contro Trump”: è il riconoscimento a una leader venezuelana controversa, divisiva, sostenitrice di posizioni che con la pace hanno poco a che vedere.
Applaudire “il male minore” senza sapere chi si applaude non è saggezza: è superficialità travestita da ironia. Anche perché la stessa Machado, appena ricevuto il premio, lo ha dedicato proprio… a Donald Trump.
Questa volta è toccato al PD, ma ormai il meccanismo è automatico da destra a sinistra: basta che qualcuno si opponga al leader dell'altra fazione e scatta l’applauso. Non importa se quella persona è ultraliberista, reazionaria o pronta a invocare l’intervento militare americano: se è “contro i cattivi”, allora è “dei nostri”.
Un riflesso condizionato che sostituisce la riflessione con l’istinto, la politica con la comunicazione.
Così la Machado, figura di destra, diventa eroina per un giorno dei cosiddetti progressisti; e per Salvini e Meloni, Netanyahu diventa l’illuminato portatore di un messaggio di pace. Altro che quei “guerrafondai” che volevano portare aiuti umanitari a bordo delle navi: quelli erano dei sinistri pagati da Hamas. Nulla di più.
Mentre in Venezuela si discute se Machado rappresenti davvero un futuro democratico o solo un nuovo blocco di potere, qui da noi ci si accontenta di un “almeno non è Trump”. È questa la profondità del pensiero internazionale del principale partito d’opposizione?
Il male minore come alibi
Dietro tutto questo c’è un’illusione antica: che basti essere “contro qualcuno” per stare automaticamente “dalla parte giusta”. È la religione del “male minore”, che da anni anestetizza i partiti italiani e la società.
Forse servirebbe meno entusiasmo social e un po’ più di studio, prima di evocare la Provvidenza o intonare inni alla “resistenza democratica”.
La lezione che nessuno imparerà
Non è solo una figuraccia mediatica. È un sintomo. Un sintomo che per il centrodestra è sempre stato strategia, e ora ha contagiato anche l'altra fazione. Nel PD la battuta ha sostituito l’analisi, la velocità ha preso il posto della coerenza.
Perché se il criterio resta “purché non sia Trump”, allora tutto diventa applaudibile: anche chi invoca i marines a Caracas.
Il Nobel per la Pace non dovrebbe essere un’arma da post.
E quando un partito che si dice progressista lo usa come tale per contrastare l’avversario, non mostra solo leggerezza personale: mostra il vuoto politico di chi non sa più chi rappresenta — e nemmeno da che parte, davvero, stia.
Nella foto, tratta dalla sua pagina Facebook ufficiale, María Corina Machado.
Marco Degli Angeli
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