Il commento

24 set 2025
Crema Beauty Days

Crema Beauty Days: dal successo locale alle sfide globali della cosmetica. Ma quanto l’etica viene davvero rispettata lungo la catena globale?

La seconda edizione dei Crema Beauty Days ha superato le attese: piazze piene, eventi seguiti, ospiti come Cristina Fogazzi, l’“Estetista cinica”, e spettacoli capaci di intrecciare cultura e bellezza. Il sindaco Fabio Bergamaschi ha parlato di «una città viva e dinamica come poche», mentre il senatore Renato Ancorotti, patron di Ancorotti Group, ha ricordato l’importanza della raccolta fondi per un ecografo destinato alla prevenzione femminile.

Il Comune ha sostenuto la manifestazione con un investimento di oltre 35mila euro, oltre alla concessione degli spazi pubblici e all’impiego di personale. Un impegno che conferma la volontà di Crema di rafforzare la propria identità di capitale della cosmetica, settore che qui genera economia, cultura e comunità.

Ma proprio questo successo solleva una domanda: se la filiera cosmetica punta a essere sostenibile e inclusiva, quanto davvero l’etica viene rispettata lungo tutta la catena globale?

Oltre la sostenibilità ambientale

Negli ultimi anni il settore ha investito molto in sostenibilità: packaging riciclabili, riduzione delle emissioni, iniziative per la parità di genere e programmi di formazione. Risultati concreti, che meritano un vero riconoscimento.

L’etica, però, non si esaurisce in certificazioni ambientali o sociali. Ogni rossetto, ogni crema, ogni profumo nasce da una filiera globale che attraversa continenti e talvolta aree segnate da conflitti. È qui che emergono i nodi più delicati.

Multinazionali e Israele: i casi controversi

Le aziende italiane hanno rapporti internazionali complessi, spesso non pubblici per ragioni contrattuali. È noto che fino al 2020 alcune imprese della cosmesi italiana hanno avuto relazioni dirette o indirette con Israele: durante la pandemia, associazioni di categoria avevano segnalato difficoltà legate al blocco dei prodotti cosmetici alle frontiere israeliane.

Alcuni grandi gruppi del beauty, leader mondiali, sono stati criticati per le loro attività in Israele e nei Territori Occupati.

L’Oréal è presente in Israele dal 1959, con una controllata a Netanya, un centro logistico a Caesarea e uno stabilimento a Migdal Ha’emek. Negli anni ha sviluppato anche collaborazioni innovative, come quella con la start-up israeliana BreezoMeter, specializzata in dati ambientali.

Al tempo stesso, però, il marchio è finito nel mirino di ONG e del movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) per l’uso commerciale dei minerali del Mar Morto. 

Questi fanghi e sali sono considerati preziosi per la cosmesi, ma parte delle coste del Mar Morto si trovano in Cisgiordania: lo sfruttamento economico di risorse da territori occupati solleva dunque interrogativi etici e giuridici. 

Estée Lauder Companies, invece, non è criticata tanto per stabilimenti produttivi quanto per i legami della sua leadership. Ronald Lauder, erede della famiglia fondatrice e membro del consiglio di amministrazione, è anche presidente del Congresso Ebraico Mondiale e sostenitore del Jewish National Fund, organizzazione sionista accusata di essere coinvolta nell’acquisizione di terre palestinesi.

Per questo motivo, Estée Lauder e i suoi brand (MAC, Clinique, La Mer) compaiono tra gli obiettivi di diverse campagne di boicottaggio. 

Questi esempi mostrano come il tema non sia solo ambientale o sociale, ma anche geopolitico: in un mondo interconnesso, le scelte di investimento e le partnership tecnologiche possono avere ricadute etiche molto più ampie.

Crema come specchio di una sfida globale

Il successo dei Beauty Days è motivo di orgoglio per un territorio che concentra il 67% del fatturato cosmetico nazionale e rappresenta un polo di innovazione internazionale. Ma questo primato porta con sé una responsabilità: trasformare l’energia positiva della manifestazione in occasione di confronto sui nodi controversi.

Se vogliamo parlare seriamente di sostenibilità e inclusione, l’etica non può essere selettiva. Deve comprendere anche il rispetto dei diritti umani, la gestione trasparente delle risorse e la consapevolezza delle implicazioni politiche delle scelte industriali. 

Non solo cosmetica

La riflessione riguarda tutti i settori. In un mondo attraversato da conflitti e crisi umanitarie, anche moda, alimentare e tecnologia devono interrogarsi sull’origine delle materie prime, sulle condizioni di lavoro, sui rapporti con governi o attori controversi.

La cosmetica, però, ha una peculiarità: vive di un immaginario legato alla cura di sé, alla bellezza, al benessere. Per questo le incoerenze etiche pesano ancora di più. Non basta raccontare empowerment e responsabilità sociale: serve inserire certi temi anche nei momenti di maggior festa, proprio perché possano raggiungere una platea sempre più ampia. 

Etica come valore competitivo

Sollevare questi interrogativi non significa sminuire la festa, ma rafforzarla. Oggi l’etica è parte integrante della competitività: i consumatori chiedono trasparenza, chiarezza sull’origine delle materie prime e garanzie di rispetto dei diritti umani.

Le aziende che affronteranno questi nodi apertamente saranno le più attrezzate a difendere la propria reputazione nel lungo periodo. Crema, cuore pulsante della cosmetica, può diventare il laboratorio ideale di questa nuova consapevolezza.

Dal locale al globale

I Crema Beauty Days hanno dimostrato la forza di un settore che genera economia, cultura e comunità. La vera sfida è non fermarsi qui.

Se la bellezza, come ha ricordato l’Estetista cinica, significa valorizzazione di sé al di là delle omologazioni, allora il futuro del settore starà nella capacità di garantire che dietro ogni prodotto non ci siano contraddizioni irrisolte.

La festa di Crema può diventare non solo celebrazione del presente, ma punto di partenza per una domanda collettiva: quale bellezza vogliamo costruire, e a quale prezzo?

Marco Degli Angeli

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