Il commento
08 nov 2025
Signori, ecco l'Italia: mentre il lavoro povero aumenta, chi è ai vertici del potere alza il proprio assegno come un premio per la propria inefficienza
In un Paese in cui milioni di persone faticano ad arrivare a fine mese, dove il lavoro non garantisce più la dignità né la certezza, assistiamo a un fenomeno tanto coerente quanto grottesco: coloro che invocano rigorismo, contengono spese sociali, rifiutano salari minimi o redditi di cittadinanza, sono gli stessi che – in spregio al buon senso e alla giustizia sociale – alzano le proprie retribuzioni, reinstituiscono trattamenti privilegiati, rafforzano le rendite di posizione.
Prendiamo un caso recente: il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL). Il presidente Renato Brunetta, già noto per avere rifiutato l’introduzione di un salario minimo nazionale – definendolo “scempio” o “nocivo” – si vede ora portare il proprio stipendio annuo da circa 250 mila euro a 310 mila euro.
Non è un aumento isolato: si parla di un effetto domino che fa lievitare la spesa complessiva dell’ente da circa 850 mila a quasi 1,9 milioni di euro solo per i vertici. A fronte di ciò, milioni di lavoratori percepiscono mensilmente stipendi intorno ai mille euro, una disparità “indecente” in un momento di record storico della povertà assoluta in Italia.
E poi la Regione Lombardia: la prima legge approvata nel 2025 non salvaguarda sanità, infrastrutture o scuole, ma ripristina – sotto la dicitura “assegno previdenziale contributivo” – un trattamento vicino al vitalizio per i consiglieri regionali.
Il meccanismo: un consigliere versa l’8,8 % della propria indennità lorda mensile, la Regione contribuisce con 2,75 volte l’importo versato, e dopo almeno cinque anni e al compimento dei 65 anni, è garantita una rendita (ovviamente reversibile). Nel frattempo, chi lavora precariamente, chi ha contratti a termine, chi è sottopagato, vede ogni giorno più evidente la distanza tra il proprio stato e quello di una “casta” che si autogoverna, si autoriprende, si autoremunera.
E poi, come se non bastasse, la politica fiscale. Opposizione a salario minimo o reddito di cittadinanza? Spesso a gran voce. Meno tasse a chi è in affanno? Non qui. Secondo le audizioni di ISTAT, Banca d’Italia e Ufficio parlamentare di bilancio sulla legge di bilancio 2025, oltre l’85 % delle risorse del taglio IRPEF del governo Giorgia Meloni finisce nelle tasche del 40 % più ricco delle famiglie italiane.
Chi guadagna circa 30 mila euro lordi annui riceve un beneficio medio di 40–50 euro all’anno; chi supera i 50 mila euro, arriva a 400–450 euro di vantaggio. Una riforma che, nei fatti, premia chi già sta bene e lascia “briciole” a chi avrebbe davvero bisogno di ossigeno.
E infine – per mettere il sigillo sull’abisso – l’attività effettiva dei parlamentari. Secondo un’analisi aggiornata, nella legislatura recente la media delle sedute della Camera è stata inferiore alle 12 al mese: circa 3 sedute a settimana, con una media stimata di circa 50–53 ore al mese per deputati e senatori.
In 116 giorni dall’insediamento, deputati e senatori hanno lavorato rispettivamente 19 e 13 giorni effettivi, stando ad un resoconto giornalistico. Eppure: stipendi oltre i 10 mila euro al mese, trasporti gratuiti, interessi sul conto corrente che talvolta superano il 5 %, assicurazione sanitaria “all-inclusive” a costo quasi nullo, pensione garantita a 60 anni (per chi fa 2 giri di giostra) o a 65 anni per chi rimane deputato per 4 anni , 6 mesi e 1 giorno. La disconnessione tra “tempo effettivamente lavorato” e “ricompense ricevute” appare così evidente da risultare quasi grottesca.
A livello locale, nella provincia di Cremona – e più in generale in Lombardia – la situazione della povertà non è una statistica astratta. Il rapporto della Caritas di Cremona segnala che almeno 34.000 persone in un anno si sono rivolte ai servizi delle Caritas lombarde per problemi economici, abitativi o lavorativi.
Il “lavoro povero” – quello che non consente di vivere degnamente – interessa in Lombardia tra il 12% e il 20% dei lavoratori, in particolare giovani, donne, stranieri, operai e dipendenti di piccole aziende. Nel sistema sociale, l’assegno di inclusione, che ha sostituito il reddito di cittadinanza, ha ridotto la platea dei beneficiari del 40-47 %, lasciando fuori molte famiglie vulnerabili.
Se vogliamo: facciamo un paragone semplice. Lavoratore medio: contratto atipico, stipendio sotto i mille euro al mese, incertezza, rischio sfratto, difficoltà con bollette, figli, scuola. Vertice di ente pubblico o parlamentare: oltre 10 mila euro al mese, più staff, più dirigenti, trasporti, privilegi, pensione anticipata, retroattività, senza scomporsi.
Opposizione al salario minimo? Sì. Riduzione tasse ai ceti deboli? No. Riduzione privilegi? Macché. Aumenti per se stessi? Sempre sì.
È una scena che si ripete: quando si tratta di tagliare per dare sostegno, la mano trema; quando si tratta di aumentare o salvare rendite, la mano corre.
E allora: cosa vuol dire tutto ciò per noi, qui, a Cremona? Vuol dire che la distanza tra chi decide e chi vive è sempre più ampia. Vuol dire che la crisi aziendale o il lavoratore con 900 euro al mese diventano problemi “dell’altro”, mentre le scelte privilegiate diventano automatiche e invisibili. Vuol dire che il “premio al merito” spesso si traduce in “premio per la posizione”.
E vuol dire che il discorso politico – che in teoria difende la famiglia, il lavoro – spesso si volta dall’altra parte proprio nel momento in cui l’enorme massa dei “fragili” chiede un segno concreto.
Se vogliamo essere onesti: non stiamo parlando di guadagni illegali. Si tratta di strumenti legali, deliberati, ventilati.
Ma è la morale pubblica che manca: decidere che “ora basta”, che non è più accettabile che mentre il lavoro povero aumenta e il reddito da cittadino si restringe, chi è collocato ai vertici del potere alzi il proprio assegno come se fosse un premio per la propria inefficienza.
Quanto all'ex ministro, la forte indignazione dei cittadini e le pressioni governative hanno spinto Brunetta a ritornare sui suoi passi e annullare il cospicuo aumento. Rimane la vergogna di averci provato.
Marco Degli Angeli
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