Il commento
12 ott 2025
La guerra delle notizie: come le fake news anti-Russia diventano politica di Stato. Un'analisi per comprendere quello che stiamo vivendo
Ogni volta che un missile cade, un gasdotto esplode o un drone attraversa il cielo europeo, la storia si ripete: i titoli in prima pagina accusano Mosca, i politici invocano più fondi per la difesa e scudi missilistici, e pochi giorni dopo arriva la smentita. Ma nel frattempo i miliardi sono già partiti, i contratti firmati e l’opinione pubblica addestrata alla paura.
Il teorema del colpevole perfetto
C’è un principio aureo della comunicazione di guerra: se qualcosa esplode, dev’essere stato Putin. Non serve un’inchiesta, un’analisi forense o una perizia balistica. Basta un “secondo fonti anonime” o un “funzionario occidentale ritiene che…” e il processo è chiuso.
Nel frattempo le agenzie battono la notizia, i talk show organizzano il linciaggio geopolitico di turno, e a Bruxelles si convoca il solito vertice d’emergenza. Dopo tutto, il copione funziona: la Russia è il nemico perfetto — quello da incolpare subito, indagare mai, e usare per giustificare qualsiasi decisione.
Sia ben chiaro. Lo scoppio della guerra in Ucraina resta una colpa russa
Prima di ogni analisi, occorre una premessa chiara e non negoziabile: la Russia ha aggredito l’Ucraina nel febbraio 2022, violando il diritto internazionale, i trattati di sovranità e i principi della Carta ONU (che per chi scrive vale sempre e non "fino a un certo punto" o a seconda dei casi, come sostiene un minstro(!) italiano).
Quella decisione resta un atto di guerra, che al netto di provocazioni rimane ingiustificabile. Nessuna critica all’informazione occidentale può cancellare questa verità di base.
Ma riconoscere questa colpa non significa accettare acriticamente ogni narrazione costruita attorno ad essa. Condannare l’aggressione non implica chiudere gli occhi di fronte alla manipolazione. Ecco dove comincia la parte scomoda della storia: la propaganda non è solo russa.
Przewodów
Il 15 novembre 2022, un missile cade sul villaggio polacco di Przewodów, a pochi chilometri dal confine con l’Ucraina. Due morti. Tempo 30 minuti, e il mondo intero è già convinto che si tratti di “un missile russo che ha colpito la Polonia”, cioè un attacco a un paese NATO.
Le agenzie di stampa citano “un funzionario americano anonimo”. I giornali titolano a caratteri cubitali. Washington tace, Varsavia convoca d’urgenza il Consiglio di sicurezza nazionale, e sui social impazza l’hashtag “Articolo 5”, quello dell’intervento automatico.
Poi, dopo 24 ore, la verità: il missile era un S-300, di fabbricazione sovietica, sì, ma sparato dalle difese ucraine, nel tentativo di intercettare un ordigno russo. Un tragico incidente. Il presidente polacco Andrzej Duda lo conferma. La NATO pure.
Il Washington Post ammette che la prima versione — quella basata sulla “fonte anonima americana” — era errata. Ma ormai la prima narrazione ha fatto il giro del mondo, e la seconda non interessa più a nessuno.
Nel frattempo, però, i governi europei hanno già annunciato nuovi stanziamenti per la difesa, nuovi piani di spesa per munizioni e missili antiaerei, e la Commissione europea prepara il terreno per l’ennesimo pacchetto di aiuti militari a Kiev. Una fake news da prima pagina trasformata in decisione di bilancio reale.
Nord Stream: il mistero utile
Settembre 2022: nel Baltico, esplodono le pipeline Nord Stream 1 e 2, il gasdotto che collegava la Russia alla Germania. Anche qui, il copione è identico: “atto di sabotaggio russo”. Non c’è ancora un’indagine, ma già piovono accuse, dichiarazioni e condanne.
Il segretario di Stato Blinken parla di “opportunità straordinaria” per l’Europa di liberarsi dal gas russo. La stampa occidentale apre con titoli da thriller: “Putin sabota il suo stesso gasdotto per alzare i prezzi”.
Passano i mesi. Le indagini svedesi e tedesche non trovano prove pubbliche che collegano Mosca all’attacco. Emergono invece piste alternative: un gruppo “pro-ucraino” con uno yacht a noleggio; ipotesi di operazioni sotto copertura occidentali. Il risultato? Zero certezze, ma ad oggi gli unici arrestati sono di cittadinanza ucraina.
Ma nel frattempo, la politica si è già mossa:
Berlino chiude definitivamente Nord Stream 2.
L’Europa approva fondi record per la “transizione energetica e la sicurezza”, che finiscono anche a colossi energetici occidentali.
E chiunque osi chiedere prove concrete viene etichettato come “filorusso”.
La verità, come sempre, arriva dopo la conferenza stampa. E quando arriva, non cambia più nulla.
La sindrome dello “scudo di droni”
Ogni volta che un drone sconosciuto sorvola un aeroporto o un confine, scatta il copione dell’allarme. “Attacco russo imminente”, “droni di Mosca in ricognizione sull’Europa”. Poi, quando qualcuno indaga davvero, i risultati sono meno drammatici: errori radar, incidenti civili, droni commerciali, o nessuna prova di provenienza.
Ma anche qui, l’effetto politico è immediato. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen annuncia la creazione di un “drone wall”, uno scudo anti-drone europeo da centinaia di milioni di euro. L’annuncio avviene pochi giorni dopo l’ennesimo “allarme droni russi” prima in Polonia e poi in Scandinavia. Un nesso diretto tra notizia virale e decisione politica. Le aziende della difesa ringraziano.
La fabbrica della paura: come nasce una notizia utile
Le fake news non nascono per caso. Dietro ogni titolo ci sono tre elementi costanti:
La fonte anonima — la più comoda delle fonti. Non verificabile, non smentibile. È la materia prima perfetta per costruire narrazioni d’emergenza.
L’armamento “russo” — il termine magico. Anche se l’arma è stata usata da Kiev o ereditata da arsenali sovietici, basta l’aggettivo “russo” per spostare la colpa.
L’interesse politico o economico — ogni crisi comunicativa genera consenso e denaro. Fondi militari, sanzioni, contratti energetici, poteri straordinari.
È la guerra delle percezioni: più che i fatti, contano le immagini e la velocità. La correzione arriverà tra 48 ore, ma intanto il messaggio emotivo è passato: “Siamo sotto attacco”. E ogni volta che ci sentiamo sotto attacco, accettiamo qualunque spesa, qualunque rinuncia, qualunque escalation.
I risultati concreti delle bufale geopolitiche
Dal 2022 a oggi, ogni presunto “attacco russo” smentito ha lasciato dietro di sé una scia di decisioni politiche irreversibili:
Dopo Przewodów, l’UE aumenta il fondo “European Peace Facility” per rimborsare agli Stati le armi inviate all’Ucraina.
Dopo Nord Stream, Bruxelles accelera i piani di indipendenza energetica, con nuove spese per rigassificatori, forniture USA e norvegesi, e contratti privi di trasparenza.
Dopo le ondate di droni, nasce il progetto “scudo europeo dei droni”, e la BAE Systems e la Rheinmetall vedono salire le azioni.
Dopo i presunti jamming contro voli politici, la NATO lancia l’allarme “guerra elettronica russa”, e arrivano nuove linee di finanziamento per sistemi di interferenza.
Ogni allarme, vero o falso, diventa un’occasione per chiedere più armi, più fondi, più controllo. E nessuno — proprio nessuno — paga mai per gli errori informativi che li hanno generati.
La tempistica perfetta: prima l’accusa, poi l’indagine
La sequenza è sempre la stessa:
Notizia esplosiva → 2. Dichiarazioni ufficiali → 3. Annunci politici → 4. Indagine → 5. Smentita.
Solo che il punto 5 arriva quando il pubblico è già passato al prossimo scandalo. E così l’errore diventa cronaca consolidata. Lo sa bene chi lavora nella comunicazione strategica: una smentita non ha mai lo stesso effetto dell’accusa.
È la legge dell’inerzia mediatica: la prima impressione sopravvive a qualsiasi rettifica. Così, anche quando viene stabilito che il missile polacco era ucraino, nell’immaginario collettivo resta “il missile russo che ha colpito la Polonia”. E quella paura diventa un fatto politico.
L’uso politico dell’emergenza
Ogni emergenza comunicativa è anche un’opportunità. Dopo ogni allarme, l’Unione Europea annuncia nuovi pacchetti di aiuti, nuove forniture militari, nuove strategie comuni. Chi si oppone viene accusato di “cedere al nemico”. Così, una fake news diventa una leva per cementare consenso e aumentare potere decisionale.
Lo schema è antico:
Nel 2003, le “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein giustificarono l’invasione dell’Iraq.
Oggi, i “missili russi sulla Polonia” o i “sabotaggi del Cremlino nel Baltico” giustificano l’escalation permanente.
Solo che oggi non c’è bisogno di un dossier CIA o MI6. Basta un tweet e un lancio ANSA.
La nuova economia della paura
La guerra non si combatte solo con i carri armati, ma anche con i budget. Nel 2024, l’UE ha superato i 100 miliardi di euro tra aiuti militari diretti e indiretti. Di questi, una parte consistente serve a finanziare aziende europee della difesa — che registrano utili record. Ogni crisi informativa fa salire le azioni di Rheinmetall, Leonardo, Thales, Saab. In pratica, ogni “missile russo” — vero o presunto — vale qualche milione in Borsa.
E quando il sospetto svanisce, resta il contratto.
Il giornalismo dell’urgenza
Il giornalismo tradizionale, un tempo basato su verifica e prudenza, è stato sostituito da quello dell’urgenza e del riflesso condizionato. Il ciclo mediatico dura ore, non giorni. L’obiettivo non è più capire, ma “esserci per primi”. E così anche le testate più autorevoli cadono nella trappola: “fonti anonime” diventano prove, “missili russi” diventano fatti, e le smentite vengono pubblicate in fondo, a conflitto già spostato su un altro fronte.
La notizia corre, la verifica arranca, la verità resta a piedi.
Una domanda semplice
C’è una domanda che nessuno pone mai nei briefing europei o nei talk show militanti: quante decisioni politiche, economiche e militari sono state prese su basi poi rivelatesi false o inesatte?
Se si facesse l’elenco, scopriremmo che mezza strategia europea degli ultimi tre anni — dalle sanzioni ai fondi per la difesa — è nata da narrazioni non ancora verificate al momento in cui diventavano legge.
La verità arriva sempre in ritardo. Ma il conto, quello sì, arriva puntuale.
Forse il vero sabotaggio non è quello del Nord Stream, ma quello della verità. E le vittime non sono nei cieli di Polonia o nei fondali del Baltico, ma nella nostra capacità di distinguere la realtà dalla convenienza.
Perché quando la paura diventa routine e la menzogna diventa strategia, la guerra l’abbiamo già persa — anche senza sparare un colpo.
Marco Degli Angeli
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