Cultura
20 lug 2025
Carlo Tedaldi Fores e Giuseppe Montani, due importanti (e spesso dimenticate) voci cremonesi rappresentative della dimensione medio-padana
Abbiamo visto tempo fa come Cremona, verso la metà del Novecento, pur nella sua collocazione marginale rispetto alla grande cultura lombarda, fosse il punto d'incontro di una serie di voci e di personalità, anche esterne, che rappresentassero una dimensione medio-padana.
Si era accennato a un Montaldi, al poeta Bellintani (qui l'articolo) ma anche a Pasolini. Ma questa "vocazione" della nostra città è ravvisabile anche nel campo della letteratura minore del primo Ottocento, al di fuori, per intenderci, della grande triade Foscolo-Manzoni-Leopardi.
Da alcune ricerche da me condotte ricavo i nomi di Carlo Tedaldi Fores e di Giuseppe Montani, cremonesi che però operarono anche a Milano e Firenze.
Partiamo dal Tedaldi Fores (1793-1829). Poeta neoclassico agli esordi, ammiratore del Foscolo e poi convertito al Romanticismo attraverso i contatti con i circoli milanesi, fu un fan di Byron e scrittore anche di tragedie. La sua importanza a livello generale nasce da un suo intervento in forma lirica, le "Meditazioni poetiche" (1825) rispetto al "Sermone sulla mitologia" di V. Monti, dello stesso anno, in cui l'autore difendeva a spada tratta l'uso della mitologia contro le nuove dottrine romantiche.
Ora, a noi la cosa non interessa affatto ma bisogna capire che su quel discrimine si giocava la partita tra Neoclassicismo e Romanticismo. Parecchi autori criticarono e addirittura sbeffeggiarono Monti ed altri lo difesero ma il Tedaldi Fores dà una risposta originale e di grande apertura mentale rispetto alla polemica.
Nelle sue "Meditazioni" egli, infatti, pur riconoscendo a livello storico l'uso della mitologia come espressione di un contesto religioso e sociale del passato, osserva che essa non abbia nessun senso per i poeti moderni perché non è la base della loro sensibilità spirituale: i nostri "miti" insomma sono altri e, quindi, nessuna condanna a priori della mitologia ma nemmeno una sua assoluta consacrazione come voleva il Monti che ormai era fuori dalla storia.
Altro caso è quello di Giuseppe Montani (1786-1833). Di formazione ecclesiastica e insegnante presso diversi seminari, il Montani lascia l'abito talare e si dedica alla poesia, alla critica e alla pubblicistica, diventando, tra Milano e Firenze, uno dei più attivi saggisti dei suoi anni.
Il suo equilibrio e la sua capacità di avere uno sguardo critico non provinciale si rivela in una serie di articoli sull'attività di Leopardi: analizzando, infatti, le canzoni civili del Recanatese, "All'Italia" o "Sopra il monumento di Dante", passate sotto silenzio dai contemporanei, egli ne sottolinea l'impegno civile; la sua analisi diventa illuminante nel caso delle "Operette morali"(1827), il volume leopardiano accusato di nichilismo e immoralità tanto da esser messo all'Indice.
Montani apprezza la generosa analisi del poeta sulle ragioni del dolore universale e ne comprende l'adesione sincera alle ragioni della pena del vivere; ma, legato com'è al fondamento dell'Illuminismo costruttivo, non può accettare il pessimismo radicale, assoluto, di Giacomo.
In ogni caso, in quegli anni Venti dell'Ottocento, Montani è uno dei primi a dare un giudizio equilibrato sulla figura di Leopardi che, certo, fu esaltato ma anche spesso osteggiato sia da uomini di cultura liberali che austriacanti.
Come si vede, in definitiva, la voce di questi scrittori cremonesi trascende il dato locale per proporre soluzioni che sono di ampio respiro; e, quindi, Cremona non è affatto come siamo tentati di credere, un centro marginale nell'orizzonte dell'epoca.
Nella foto in alto: Giuseppe Elena, "Cremona vista dal Po", litografia (da "Lombardia pittoresca", II, 1838). La foto è tratta dal volume "Storia di Cremona - L'Ottocento".
Vincenzo Montuori
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