L'inchiesta

07 nov 2025
fertilizzanti

Falsi fertilizzanti, la Bassa cremonese è sulle mappe dell’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Brescia. "Così avvelenano il nostro cibo"

La campagna della Bassa padana — e in particolare quella della provincia di Cremona — entra nel mirino di un’inchiesta che profuma di rifiuto, disprezzo ambientale e rischio filiera agroalimentare. È infatti confermato che il materiale venduto come compost – destinato a terreni agricoli – è stato distribuito in 17 comuni, fra cui figurano chiaramente alcuni della provincia di Cremona come Crotta d’Adda, nel cremonese,  e Sergnano nel cremasco.

L’operazione condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Brescia, coadiuvata dai carabinieri forestali, ha portato al sequestro dell’impianto della Sovea S.r.l. di Ghedi (Brescia) — autorizzata al ritiro di rifiuti vegetali — dopo che verifiche tecniche hanno riscontrato che quello che doveva essere concime organico conteneva pezzi di plastica, vetro e sostanze idrocarburiche in quantità fino a 12 volte superiori ai limiti fissati per legge.  Secondo l’accusa, il materiale inquinato ha poi trovato via libera su campi agricoli — parte dei quali in provincia di Cremona — con conseguenze che vanno ben oltre il danno economico: minacciano la salute del suolo, la sicurezza dell’alimentazione e la reputazione di un’agricoltura storicamente d’eccellenza.

La campagna cremonese — zona che da sempre ha fondato parte della sua forza economica sull’agricoltura e sulla fertilità dei suoli — si trova oggi a interrogarsi: quanti ettari sono “scesi in campo” con quel falso fertilizzante?

Quali colture hanno potuto assorbire sostanze non autorizzate? E quanto tempo servirà per verificare e, se necessario, bonificare?  Tra i comuni citati spiccano Crotta d’Adda, già al centro di discussioni sul progetto impiantistico di Sovea in loco che nel 2018 fu bocciato dopo vivaci proteste locali.

Anche Sergnano, nel cremasco, figura tra i 17 territori coinvolti. L'azienda bresciana autorizzata per rifiuti vegetali, avrebbe utilizzato un escamotage: ritirare grandi quantitativi a costi ridottissimi, eludendo i veri processi di trattamento; risultava più economico — e per certi versi più vantaggioso — “cedere” il materiale a prezzo simbolico (si parla anche di 1 €/tonnellata) o addirittura regalarlo pur di evitare il costo dello smaltimento. Il prodotto arrivava sui campi come fertilizzante organico, ma era in realtà un cocktail contaminato destinato all’agricoltura.  

Un meccanismo che ricorda uno scenario già visto: tra il 2018-2019 lo scandalo della Wte S.p.A. vide decine di migliaia di tonnellate di fanghi tossici vendute e sparpagliate su migliaia di ettari agricoli. Anche allora l’ombra del profitto ha calpestato il terreno della salute pubblica.

Le domande dentro e fuori lo stivale agricolo cremonese

A quante tonnellate siamo effettivamente? Le stime parlano di decine di migliaia.

Quanti campi, quante colture, quante aziende agricole della provincia di Cremona sono potenzialmente toccate?

Quali saranno le analisi richieste allo stato dei suoli nei 17 comuni?

Quanto costerà — in termini di bonifica, reputazione, mercato agroalimentare — al sistema agricolo cremonese?

E la salute: quali effetti potenziali su lungo termine per chi vive, lavora o consuma latte, formaggi, frutta/verdura proveniente da quelle terre?

La provincia di Cremona è da sempre un pilastro dell’agricoltura lombarda: pianura ampia, terreno fertile solcato dai fiumi (Adda, Serio, Po) e coltivazioni d’eccellenza. Ora quel pilastro rischia di essere incrinato.

Se quanto emerge dell’inchiesta sarà confermato — e gli atti ancora aperti promettono altri sviluppi — sarà necessario un intervento deciso: controlli puntuali, analisi indipendenti, trasparenza sui comuni coinvolti, responsabilità chiare e una campagna di comunicazione per la filiera cremonese. 

Il futuro non può essere una bonifica solo ambientale: serve una bonifica di fiducia e legalità.

Marco Degli Angeli

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